L’ingegnere Marco Anfuso lancia un appello alle imprese del settore per contrastare il monopolio straniero nella gestione degli impianti fotovoltaici in Sicilia: «Mettiamo a sistema i nostri capitali per beneficiare a vita della produzione di energia»
La Sicilia è di fronte a un paradosso: nella regione più soleggiata d’Italia l’energia fotovoltaica rischia di non essere sostenibile. La corsa di capitali stranieri verso l’appropriazione degli impianti sembra togliere ogni beneficio al territorio, diventando un problema piuttosto che un’opportunità di sviluppo.
La Sicilia però è di fronte anche a una possibilità, quella di cambiare le dinamiche degli investimenti nel settore per poter rimanere padrona delle proprie risorse e della loro produttività: sole, terra, imprenditorialità, impianti fotovoltaici compresi. A lanciare la sfida è Marco Anfuso, CEO di Regran, che insieme alla società di consulenza Futurea sta mettendo a punto un progetto di marketplace evoluto per rivoluzionare l’incontro tra domanda e offerta nel mercato italiano delle rinnovabili.
Per capire bene di cosa si tratta, come funzionerà e qual è il suo valore per la filiera del mercato fotovoltaico occorre partire dal contesto e dal bisogno che hanno generato l’idea.
Ing. Anfuso, di recente ha lanciato un appello agli imprenditori e ai proprietari terrieri siciliani attraverso la pagina Facebook di Regran, l’impresa di progettazione e installazione di energie rinnovabili che lei guida insieme al socio Paolo Grande. Il suo è un invito accorato a fare squadra per scongiurare la colonizzazione di aziende estere. Cosa sta succedendo?
«Succede che noi imprenditori locali realizziamo, ciascuno per le proprie competenze, grandi impianti fotovoltaici nella nostra terra per catturare l’energia del nostro sole, ci occupiamo dell’intera filiera, sviluppiamo tutto dall’inizio alla fine, ma i benefici economici e ambientali volano all’estero. Dunque, a mio parere, c’è un enorme spreco di opportunità e risorse. Fin da quando ho cominciato a lavorare nel fotovoltaico, cioè nell’epoca pioneristica della seconda metà degli anni ’90, si è palesata subito l’esigenza dei clienti di avere un impianto “chiavi in mano”, da qui la mia idea di creare una società che si occupasse dell’intero processo, dall’individuazione del terreno alla manutenzione dei pannelli solari.
Regran progetta e installa impianti pronti all’uso, sia per edifici residenziali che aziendali: seguiamo l’iter di autorizzazione del terreno, progettiamo e montiamo gli impianti, ma possiamo mantenere la proprietà di uno, al massimo due, o comunque pochissimi impianti altrimenti rischiamo di andare in apnea dal punto di vista finanziario. Questo succede a Regran così come alle altre imprese locali. Per la maggior parte dei progetti realizzati quindi l’alternativa che si presenta è sviluppare conto terzi per chi ha grandi flussi di liquidità. E nel 90% dei casi i proprietari degli impianti sono sempre fondi d’investimento esteri.
È chiaro che anche per questa attività ci sono guadagni ingenti e importanti per le nostre realtà imprenditoriali, ma il fatto è che la cifra ricavata dalla vendita dei terreni, come dall’ingegneria e dallo sviluppo, sono e saranno sempre minori rispetto a quella che si guadagna nel tempo mantenendo la proprietà degli impianti. Perché il vero valore aggiunto del fotovoltaico arriva dopo l’accensione dell’impianto, cioè dai ricavi che derivano dalla produzione di energia elettrica. Chiarisco con un esempio: poniamo il caso che un proprietario terriero guadagni 70mila euro all’ettaro per la cessione di un terreno su cui installare l’impianto solare. È un introito significativo, però, se il proprietario investe una quota nella realizzazione dell’impianto, partecipando dunque alla società proprietaria dell’impianto stesso, quei 70mila euro li guadagnerà in pochi anni e poi continuerà ad avere importanti introiti per decenni grazie alla vendita dell’energia prodotta. Il vero valore economico sta nella rendita finanziaria a lungo termine. Quindi, al momento attuale, le imprese e i proprietari locali intascano una cifra “una tantum”, mentre il guadagno più grande e duraturo finisce in capitali stranieri. Ecco perché parlo di spreco di risorse».